mercoledì 28 luglio 2010

Il viaggio

Probabilmente se, Deodat de Dolomieu, scienziato francese, esploratore ed avventuriero instancabile, avesse visto cosa sono diventati oggi questi monti non avrebbe creduto ai suoi occhi.

Il 26.06.2009, le Dolomiti, che da lui presero il nome, sono state dichiarate dall’UNESCU, patrimonio dell’umanità ed inserite tra i 50 paesaggi più preziosi d’Europa e tra i 199 nel mondo.
Ma Dolomieu, questo, non poteva neppure lontanamente immaginarlo. Quando, nel 1789 giunse nelle Alpi, era mosso solo da un semplice spirito di ricerca di forti emozioni che oggi anima anche migliaia di trekker.
Scriveva:"..ogni anno raggiungevo una catena montuosa e salivo fino in cima per provare quelle profonde impressioni generate dalla visione del vasto orizzonte. Lassù riflettevo sulla formazione del globo terrestre, sui sovvertimenti che ha vissuto,sui processi che hanno modificato le sue forme e determinato il suo aspetto odierno…man mano che continuavo a salire e lasciavo sempre più spazio ai miei pensieri, anche la mia immagine del mondo si rafforzava: il mio orizzonte incontrava sempre meno confini”.
Meditavamo di avventurarci su uno dei sette percorsi, segnati in passato su questi monti e che prendono il nome di Alta via, già da tempo. Era il momento di andare. Qualche mese prima della partenza iniziamo i preparativi per il viaggio dopo aver deciso che il nostro obiettivo sarebbe stato quello di percorrere parte dell’Alta via nr.2 o “delle leggende”.

L’intero percorso consiste nel partire da Bressanone ed arrivare a Feltre. Ma completare tutta l’Alta richiede circa 12-13 giorni, periodo che non possiamo permetterci a causa dei nostri impegni di lavoro. La soluzione è quella di affrontare il cammino comunque interrompendolo dopo circa una settimana.
Iniziamo così un periodo di preparazione che ci vede impegnati sia nello studio del percorso, nel reperire informazioni sulle difficoltà che incontreremo, sugli eventuali pericoli, sull’attrezzatura da trasportare e sia sulla preparazione fisica vera e propria. Abituarci a camminate su vari dislivelli per diverse ore ci sembra un ottimo allenamento.
Il 3 luglio 2010, caricati in macchina i nostri quattro zaini da trekking, partiamo da Lecce e iniziamo la nostra avventura.
Il viaggio è lungo, ci alterniamo alla guida e l’umore è sempre alto. Si discute ancora delle tappe che faremo, si fantastica sui paesaggi che vedremo, si ride e si scherza…anche per non pensare al caldo torrido che ci accompagna dalla partenza all’arrivo.
Lasciamo la macchina in un paesino, Ora, da dove prendiamo il treno per Bressanone. Non salivo su un treno da chissà quanto tempo. Avevo dimenticato quel clima, quasi d’altri tempi, che si respira tra i vagoni. L’odore di lamiera, l’oscillare delle vetture, la calca sulle piazzole per affrettarsi a scendere, insomma…tutto mi riporta indietro nel tempo. Seduto accanto ad altri turisti, la cosa che mi colpisce sin da subito è notare che pur essendo ancora in Italia, la lingua parlata qui e per il resto del nostro viaggio è il tedesco. Il bilinguismo è necessario in questi paesi ma quella che comunque dovrebbe essere ancora la lingua madre, l’italiano, finisce per diventare la loro seconda lingua e…Bressanone è l’ulteriore conferma. Ceniamo a base di piatti tipici del Tirolo e poi di corsa a letto in una piccola pensione. Da domani ci attende una bella fatica.

La cabinovia ci porta in quota, a Val Croce, da dove ci dirigiamo verso il rifugio le Plose. Ecco i primi paesaggi, fino ad ora visti solo in fotografia sulle riviste. Il verde dei prati prevale per estensione sul grigio e sul bianco marmoreo delle rocce. Ci stupiamo di come tanta gente segua il nostro stesso percorso ma poi capiamo che per loro questo rappresenta la classica gita domenicale fuori porta. Una camminata in altura e poi si torna in paese, come se fosse un pò l’equivalente delle nostre passeggiate al mare.
Giunti facilmente al rifugio sostiamo per qualche fotografia e notiamo che si sta celebrando la messa della domenica…ovviamente anche questa in tedesco. Si riparte. Il rifugio successivo, il Genova, si trova a circa 2400 metri di altitudine ed il dislivello da coprire, in 15 km, si preannuncia impegnativo.
Lungo il percorso siamo quasi da soli e parliamo poco. Il peso degli zaini si fa sentire ad ogni passo ed ogni respiro serve per avanzare. C’è da superare un varco, la forcella del Putia...sembra vicina ma la salita è ripida più di quello che immaginiamo. Con grande fatica raggiungiamo la sommità della forcella, ci rifocilliamo e pensiamo alla meta ormai vicina.
Il rifugio Genova è una graziosa costruzione in legno gestita dalla famiglia di Gunter Messner, fratello del più noto alpinista Reinhold, deceduto nel 2007 durante un’escursione.
La vita nei rifugi è davvero particolare: non un albergo ma neppure una pensione. Un posto di passaggio dove bisogna arrangiarsi. Camere piccolissime che ospitano fino a 18 persone, con passaggi in comune con altre camere, senza accesso diretto al bagno, docce esterne temporizzate. L’indispensabile, l’essenziale per un giusto riposo e poi un’abbondante colazione per ripartire ed affrontare una nuova avventurosa giornata.

Il rifugio Puez a 2475 metri è il nostro prossimo obiettivo. Certi che la fatica fatta nel giorno precedente ci abbia ormai temprato, iniziamo l’escursione.
E’ qui che avvertiamo il lento cambiamento del paesaggio, da verde e poco roccioso a lunare, formato dai pietraie, risultato dell’erosione naturale dei monti. Il clima è quasi irreale, paragonabile a quello che si respira guardando un film fantastico delle saghe medioevali. Le sommità dei monti diventano guglie appuntite ed alcuni massicci hanno forme mostruose di giganti di pietra avvolti nella nebbia. Ci fermiamo per una pausa ma un forte rumore, un boato, ci fa pensare ad un temporale. Il tempo necessario ad indossare le giacche a vento e le protezioni antipioggia per gli zaini e riprendiamo il cammino per evitare l’acquazzone. Solo più tardi, quando notiamo la presenza di un elicottero sopra di noi, capiamo che il boato era stato provocato da una frana. Adesso il nostro unico pensiero è di superare velocemente quel tratto poco rassicurante.
In cima lo spettacolo è grandioso! Si apre una valle immensa che percorriamo, evitando una via ferrata più impegnativa, e che ci porta su un meraviglioso altopiano. Qui sembra di stare sul tetto del mondo. Un corollario di montagne che circondano l’intera vallata e noi al centro, su questo magnifica altura dalla verde sommità, che ci fa da culla mentre ci dedichiamo al nostro meritato relax. Da li a poco arriviamo al rifugio Puez. Ad attenderci la cena a base di Canederli in brodo (una specie di polpettoni di pane, uovo e speck).
La nottata passa tranquillamente, complice la stanchezza, ed il giorno dopo, la nostra nuova meta è il rifugio Cavazza al Pisciadù a quota 2587 metri.
Attraversato il passo Crespenna ci troviamo di fronte a gole, strettoie, tutto in discesa fino ad arrivare nella Val Gardena, famosa località ciclistica del Giro d’Italia.
Davanti a noi il monte Pisciadù. Una volta scalato, sulle sue sommità troveremo il rifugio. E’ questo forse il tratto più impegnativo di tutta la nostra esperienza qui sull’Alta via nr.2.

La salita è ripidissima come mai visto fino ad ora. I sentieri, sempre segnati, si vedono con difficoltà e incontriamo per la prima volta lunghi tratti di ghiaccio e neve.
Arriva la parte più impegnativa perché richiede maggiore concentrazione nei movimenti: una serie di pareti attrezzate con cavi in acciaio e chiodi da percorrere sia in salita e sia in discesa. Incontriamo chi, più esperto di noi, indossa casco e imbragatura con moschettoni. Sarebbe consigliabile indossare il casco perché gli scalatori che precedono potrebbero muovere inavvertitamente dei sassi ed assicurarsi con i ganci alla fune perché lo strapiombo è davvero d’effetto ed un capogiro o una disattenzione potrebbe compromettere il viaggio.

Bisogna continuare in ogni caso. Ci si alterna con chi percorre il sentiero in discesa, si scambia un saluto ed un sorriso quasi un incoraggiamento, quasi la condivisione di un momento di comune passione per la montagna.
Sui lunghi tratti innevati facciamo attenzione a calcare le orme di chi ci ha preceduto, passi sicuri e nonostante tutto alcune volte è facile sprofondare nella neve fino al ginocchio. Attimi di tensione, tanta concentrazione nel tentativo di evitare errori. Purtroppo più volte, durante il percorso, abbiamo incontrato targhette commemorative di giovani alpinisti scomparsi.

Raggiunta la sommità a 3019 metri di quota la veduta è spettacolare. Ormai dovremmo essere abituati a questi paesaggi ma ogni volta c’è sempre un particolare che li rende unici. Il bianco della neve, il rosa della roccia dolomitica prendono il posto delle verdi vallate e lo scenario è quanto mai suggestivo. Un lago ghiacciato, dal colore verde acceso, ai piedi del monte, vicinissimo al rifugio rende poi il paesaggio fiabesco.


Per il giorno successivo, consigliati dal gestore del rifugio Cavazza al Pisciadù, dopo l’ennesima salita impegnativa, copriamo l’elevato dislivello in parte avvalendoci della funivia. Scendendo di quota ritroviamo il paesaggio verde e fiorito che avevamo lasciato da qualche giorno. Il peso degli zaini ormai è diventato sopportabile, ma i problemi fisici sono alle porte. I dolori muscolari si fanno sentire un po’ per tutti ma è una infiammazione tendinea che mi colpisce che mi porta a fermarmi qui.
Arriviamo dopo una bellissima passeggiata nel verde percorrendo la cosiddetta Viel del pan, strada usata anticamente proprio per trasportare il pane, ai piedi del lago Fedaia nei pressi del quale ci fermiamo, in quello che sarà il nostro ultimo rifugio: il Castiglioni.
Qui ritroviamo una coppia di fidanzati svedesi Robin e Ida che per tutta la durata del cammino incontriamo sempre presso i rifugi. Chiaccheriamo un po’, seguiamo dopo cena la partita Spagna-Germania dei mondiali di calcio e rimandiamo all’indomani la decisione di continuare o di finire qui la nostra avventura.
Il gruppo è solidale e il giorno successivo decidiamo di ritornare ad Ora dove prenderemo la macchina e partiremo per un altro lungo viaggio, quello che ci porterà a Lecce…1200 km più a sud.
Da questa meravigliosa esperienza, certamente non adatta a tutti per la fatica fisica a cui si è sottoposti, abbiamo portato a casa immagini, sensazioni, profumi di una dimensione unica.
E da piccoli ospiti, in questa dimensione, ci si adatta al necessario. Il superfluo rimane lontano, nelle case da dove siamo partiti. Cambiano le abitudini. Gli orari del pranzo, della cena, del sonno si adattano. Si impara quanto sia importante la presenza dell’acqua. Nulla va sprecato così come nulla va abbandonato.
La presenza alcune volte elegante altre volte impressionante, di questi massicci fa capire molto bene perché L’Alta via nr.2 è detta anche “delle leggende”. Al di là della massa di turisti che la percorrono è ancora possibile trovare sentieri come quello indicato con un numero significativo 666, dove domina un silenzio tale da poter quasi udire ciò che qui è leggenda: il mormorio delle streghe, il bisbigliare degli gnomi, la presenza di tutte quelle creature che, per chi sa ascoltare, sono tutte là, incantate e onnipresenti. Di fronte a tanta imponenza paradossalmente si avverte anche la fragilità di questi monti. Neppure la dura dolomite, la pietra che le compone, dura per sempre perché è costantemente sottoposta all’erosione del tempo. Giorno dopo giorno, anno dopo anno, le Dolomiti si sgretolano e i declivi di pietrisco diventano sempre più lunghi. Un giorno resterà poco di questo enorme patrimonio dell’umanità, ma fino ad allora saranno tanti i trekker che come noi percorreranno le alte vie tra questi monti, sentendone il respiro che soffia tra gli alberi, il calore del loro cuore che batte sotto la roccia rosa riscaldata dal sole, e nella solitudine del cammino avranno modo di trovare uno spazio nella loro straordinaria dimensione.

Gianluca Stradiotti

5 commenti:

  1. Amico mio io mi sono fermata solo ai 2000 mt ma ho vissuto parte delle sensazioni che hai descritto... io, da credente, ho percepito la potenza di Dio!

    RispondiElimina
  2. grazie del bel resoconto , leggendolo è stato come ripercorrere quell'indimenticabile viaggio. diego.

    RispondiElimina
  3. Belle e semplici parole che descrivono e trasmettono le emozioni che ci aspettavamo...ma...meglio la fotografia? ;-) Scherzo Stra!!!

    RispondiElimina
  4. da Maria Eleonora
    Ciao Luca..avrei voluto scriverti sul blog, ma haimè per qualche misterioso problema non riesco a farlo, volevo farti i complimenti..bel viaggio, straodinaria esperienza, sentito racconto di viaggio che solo la sensibilità che tanta bellezza muove riesce a tramutare in sensazioni,in parole, in emozioni a tale proposito Voltaire scrive :Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi..ed il vero viaggiatore credo che in cuor suo questo ricerchi, nuovi occhi, nuove verità, nuovi orizzonti...nuovi viaggi :) un abbraccio
    Maria

    RispondiElimina
  5. da Lorena
    Ho provato a fare un commento ma non è stato pubblicato...cmq ancora complimenti per la dscrizione minuziosa, poetica e anche un pò fiabesca dei particolari...come ti dicevo prima sembra di leggere un libro...un bellissimo racconto..

    RispondiElimina